Il rumore 1/f

I segnali casuali sono caratterizzati dalle loro proprietà medie e queste permettono di raggrupparli in classi. Il cosiddetto "rumore 1/f" è un tipo di segnale casuale particolarmente interessante per la sua ubiquità e per le sue proprietà matematiche, ma nonostante la grande attenzione che gli è stata dedicata la sua origine resta misteriosa.

di Edoardo Milotti

Che cos'è il rumore? E che cos'è il rumore 1/f ?

Proviamo a fare un piccolo esperimento: prendiamo una radio, accendiamola e selezioniamo una banda in cui ci siano poche stazioni trasmittenti (ad esempio la regione delle onde lunghe). Ora cambiamo lentamente la sintonia della radio: talvolta sentiamo distintamente una trasmissione radio, mentre altre volte i segnali sono debolissimi e difficilmente distinguibili. Altre volte ancora non riusciamo a udire nient'altro che un debole fruscìo: questo tipo di segnale si chiama rumore. Ciò che ascoltiamo non è che la traduzione sonora di un segnale elettrico che i circuiti della radio mandano all'altoparlante, e se osserviamo questo segnale elettrico sullo schermo di un oscilloscopio esso potrebbe apparire come nella figura 1.

Un segnale di rumore è disordinato, non si ripete mai allo stesso modo, e tuttavia possiede delle caratteristiche che ci permettono di classificarlo. Osservando la figura 1 vediamo che questo particolare tipo di rumore non si discosta mai molto da un certo livello, ed in effetti se misuriamo più volte l'ampiezza troviamo che essa si distribuisce attorno ad un valore medio, come in figura 2, e che segue una distribuzione di probabilità Gaussiana: un rumore come quello della figura 1 si chiama rumore bianco Gaussiano, ed è uno dei tipi più comuni.

Torniamo ora alla nostra radio, continuiamo ad ascoltare il rumore e proviamo a manipolare il controllo del tono: ciò che sentiamo è sempre un fruscìo uniforme, che però è di volta in volta diverso in funzione della posizione del controllo del tono. Cosa succede in questo caso?

La risposta è che il segnale di rumore può venire scomposto in componenti sinusoidali di frequenza diversa, esattamente come ogni altro segnale, e il controllo del tono ci permette di filtrare queste componenti: ad esempio quando regoliamo il tono sui bassi le componenti del segnale che oscillano a frequenza elevata vengono fermate, ed il rumore filtrato appare allora come in figura 3 (le funzioni sinusoidali in cui si può scomporre il segnale sono chiamate componenti di Fourier, e per una descrizione più estesa di questo argomento si veda La trasformata di Fourier di R. N. Bracewell in <<Le Scienze>> n. 252, agosto 1989, p. 12).

Tutto ciò ci permette di capire perché il rumore mostrato in figura 1 è detto bianco: il motivo è che tutte le componenti alle diverse frequenze sono presenti in questo rumore in uguale misura così come nella luce bianca tutti i colori sono presenti con uguale intensità.

Quando filtriamo il rumore bianco otteniamo ovviamente un rumore che non è più bianco, e si dice che in questo caso il rumore è colorato.

Se un rumore è Gaussiano allora esso viene caratterizzato in modo completo dalla sua densità spettrale (o spettro di potenza), una funzione che mostra come la potenza totale del segnale si distribuisce tra le componenti di frequenza diversa. La densità spettrale del rumore bianco è costante, mentre lo spettro del rumore bianco filtrato rappresentato nella figura 3 è una funzione che diminuisce al crescere della frequenza, come si vede nella figura 4.

Esistono diversi tipi di processi fisici che producono rumore, e molti di questi producono un rumore (approssimativamente) bianco, mentre altri producono dei rumori colorati. Un tipo particolarmente importante di rumore colorato è il cosiddetto rumore 1/f : in questo caso la potenza portata da una certa componente di Fourier a frequenza f è inversamente proporzionale a f, e la densità spettrale ha un aspetto particolarmente semplice quando viene riportata in un grafico con scala doppiamente logaritmica, infatti essa si riduce ad una retta con coefficiente angolare uguale a -1.

Esistono altri rumori colorati simili al rumore 1/f per i quali la potenza portata da una certa componente di Fourier a frequenza f è inversamente proporzionale a fa (con 0.5 < a < 1.5) che vengono detti rumori di scintillazione ("flicker noises"): come nel caso del rumore 1/f la densità spettrale si riduce ad una retta con coefficiente angolare uguale a -a quando viene rappresentata in un grafico con scala doppiamente logaritmica.

Osservazioni sperimentali del rumore 1/f

La prima osservazione del rumore 1/f risale al 1925, quando J. B. Johnson si accorse della sua presenza studiando le fluttuazioni di corrente nell'emissione termoionica dei tubi a vuoto. Nel 1926 W. Schottky tentò di interpretarlo teoricamente, e successivamente, nel 1936, C. J. Christenson e G. L. Pearson lo osservarono in microfoni e in resistenze al carbone. Da allora il sistema tipico in cui si eseguono misure del rumore 1/f è il circuito mostrato in figura 6: ciò che si osserva è una fluttuazione di tensione ai capi di una delle due resistenze (alternativamente la si può pensare come una fluttuazione di corrente o come una fluttuazione della resistenza Rc). La figura 7 mostra i risultati sperimentali ottenuti per due resistenze a film sottile: in questo caso il rumore misurato è quasi esattamente un rumore 1/f, e questa regione tipo 1/f si estende per almeno 6 ordini di grandezza.

Sorprendentemente, si trova che questo tipo di comportamento è quasi indipendente dal campione di materiale utilizzato, e sembra dipendere invece dalle dimensioni geometriche della resistenza (quanto più è piccola la resistenza tanto meglio è visibile il rumore 1/f).

Ancora più stupefacente è l'ubiquità del rumore 1/f, che compare spesso in sistemi assai diversi dal circuito della figura 6, e questo fatto è stato messo in luce in modo particolare negli anni '70 nel lavoro di B. B. Mandelbrot sui frattali. Una lista certamente incompleta dei fenomeni che mostrano la presenza di rumore 1/f comprende le fluttuazioni di resistenza dei semiconduttori, il battito cardiaco, le correnti nelle fibre nervose, il livello dell'insulina nel sangue di un diabetico, il flusso delle correnti oceaniche, il rumore sismico, le oscillazioni dell'asse terrestre, l'attività solare, il flusso del Nilo negli ultimi 2000 anni, la luce che proviene dalle stelle nane bianche, il flusso della sabbia che scende in una clessidra, il flusso del traffico stradale, il flusso di corrente in soluzioni ioniche, le giunzioni Josephson e la luce che proviene dai quasar. A titolo di esempio la figura 8 mostra la densità spettrale del numero di Wolf, che è un semplice indicatore dell'attività solare.

A questi fenomeni si sono aggiunti negli ultimi anni anche molti tipi speciali di processi non lineari. Inoltre non va dimenticato il singolare lavoro di R. F. Voss e J. Clarke - che è stato già al centro di un divertente articolo di M. Gardner comparso alcuni anni fa sulle pagine di questa rivista - che ha mostrato che anche la musica e il parlato trasmessi alla radio hanno uno spettro del tipo 1/f!

La matematica del rumore 1/f

Sono stati formulati molti modelli fisici per spiegare la comparsa del rumore 1/f, soprattutto nelle resistenze e nei semiconduttori. Si tratta prevalentemente di modelli specializzati, che però non spiegano come mai il rumore 1/f compaia in tanti processi diversi. Se esiste davvero una spiegazione per questa apparente universalità del rumore 1/f, essa deve tener conto di parecchi altri fatti sperimentali, ed in particolare:

a. il rumore 1/f è quasi sempre Gaussiano. Ciò sembra indicare che il rumore 1/f risulta prevalentemente dalla sovrapposizione di molti processi elementari, e sembra escludere meccanismi di generazione dovuti a dinamiche non lineari.

b. il rumore 1/f è stazionario. Questo vuol dire che le sue caratteristiche medie restano costanti nel tempo.

c. in genere non si riesce ad osservare un'appiattimento dello spettro a basse frequenze, alcune accurate osservazioni del rumore 1/f nei semiconduttori mostrano che esso si estende fino alle più basse frequenze osservabili in laboratorio (approssimativamente 10-7 Hz).

d. è difficile osservare densità spettrali che siano esattamente del tipo 1/f. È assai più frequente osservare degli spettri del tipo 1/fa con 0.8 < a < 1.4.

A queste condizioni sperimentali va aggiunto il fatto che in un sistema fisico in cui all'ampiezza del rumore si possa associare una potenza (e quindi anche un'energia) un "vero" rumore 1/f ha una caratteristica assai indesiderabile. Il problema viene dalla considerazione della potenza totale che si trova sommando la potenza portata da ciascuna componente di Fourier.

Per capire consideriamo inizialmente il caso di un rumore bianco: le sue componenti di Fourier in media portano tutte la stessa potenza, indipendentemente dalla frequenza, e quindi la potenza totale di un segnale di rumore bianco è infinita! In realtà per il rumore bianco il paradosso non esiste, perché non esiste alcun rumore che sia veramente bianco e la potenza può essere sempre la stessa solo fino ad una certa frequenza massima. Infatti frequenze molto elevate sono possibili solo in sistemi fisici che rispondono alle sollecitazioni in modo estremamente veloce, e poiché presto o tardi l'inerzia di qualunque sistema fisico si fa sentire, a quel punto la densità spettrale deve necessariamente andare a zero.

Una cosa analoga succede alle alte frequenze anche per il rumore 1/f, ma per gli stessi motivi anche in questo caso non ci preoccupiamo. Il problema del rumore 1/f è che la densità spettrale cresce indefinitamente quando la frequenza tende a zero e si può dimostrare che per questo motivo la potenza totale tende all'infinito: purtroppo questa volta non ci sono ragioni fisiche che ci vengono in soccorso.

D'altra parte nei sistemi fisici osservabili l'energia totale (e quindi anche la potenza) è certamente finita, e allora per questi sistemi non può esistere un "vero" rumore 1/f così come non può esistere un "vero" rumore bianco. Ciò che si può supporre è che a frequenze sufficientemente basse dovremmo osservare un appiattimento della densità spettrale, in modo che il rumore prodotto dal sistema ritorni ad essere rumore bianco e che la potenza totale risulti finita.

Infine per rispondere alla richiesta di universalità il meccanismo matematico non deve fare riferimento ad alcun modello fisico specifico

Vediamo adesso come è possibile realizzare matematicamente un processo casuale capace di produrre rumore 1/f. Si parte da due constatazioni: la prima è che è facile realizzare qualcosa che produce rumore bianco, e la seconda è che in natura esistono un gran numero di sistemi fisici che si possono "caricare" in qualche modo e che, lasciati liberi, si scaricano lentamente secondo una legge di scarica di tipo esponenziale. Prendiamo ora una successione di impulsi brevi che arrivano casualmente ed indipendentemente uno dall'altro: questo è un rumore bianco, e possiamo usare ciascun impulso per "caricare" un sistema fisico che si scarica esponenzialmente. Il risultato è quello mostrato nella figura 9: le singole scariche associate a ciascun impulso si sommano per dare una curva di risposta globale. Il sistema fisico con scarica esponenziale ha trasformato il rumore bianco in un rumore diverso, e si può dimostrare che questo nuovo rumore ha una densità spettrale del tipo 1/f2. Questo risultato sembra promettente giacché considerando un processo casuale semplicissimo siamo "quasi" arrivati al rumore 1/f . Purtroppo passare da 1/f2 a 1/f è più difficile di quel che sembra, perché richiede un'ipotesi aggiuntiva molto forte e difficilmente giustificabile, e cioè che la curva di scarica sia di volta in volta diversa, un po' come se il sistema cambiasse le sue caratteristiche passando da un impulso a quello successivo.

Un sistema fisico idealizzato (proposto dall'autore) come quello della figura 10 ha proprio delle curve di scarica che sono ogni volta diverse. Il sistema è costituito da diversi elementi tutti uguali che possono essere "caricati" come prima e che si scaricano tutti sempre nello stesso modo. Gli elementi comunicano tra loro e parzialmente anche con l'esterno, così che gli impulsi possono venire sia dall'esterno, sia da un altro nodo che si sta scaricando. Inoltre si suppone che i collegamenti tra i nodi siano disturbati da rumore bianco, e allora la "carica" viene trasferita da un nodo all'altro in modo parzialmente casuale. Il numero di collegamenti tra un nodo e l'altro può essere variabile, ed anche l'importanza del collegamento può essere più o meno grande, nel senso che il trasferimento di "carica" può avvenire più o meno facilmente (ma queste ultime due non sono caratteristiche essenziali del modello). È ovvio che un sistema del genere si ricorda almeno in parte della sua storia passata: infatti quando un nodo si scarica e così facendo carica un suo vicino, potrebbe poi venire caricato a sua volta dallo stesso vicino venendo in tal modo influenzato direttamente dal proprio passato. Per questo motivo, anche se i singoli nodi si scaricano sempre nello stesso modo, il sistema si comporta globalmente come se avesse tempi di scarica diversi.

Si può dimostrare che una rete che abbia la forma di un reticolo quadrato bidimensionale produce un rumore che è esattamente 1/f, almeno in una certa banda di frequenze (figura 11). Al di fuori di questa banda la densità spettrale si appiattisce per frequenze molto basse, mentre acquista un andamento del tipo 1/f2 per frequenze alte, e questo è un comportamento molto desiderabile, perché evita le divergenze sia alle basse sia alle alte frequenze.

Ovviamente lo scambio della "carica" avanti e indietro tra nodi adiacenti è tanto più efficace nello stabilire una "memoria" quanto più è difficile che la "carica" stessa esca dal sistema: e in effetti si può dimostrare che l'estensione della regione centrale 1/f è tanto più grande quanto più il sistema è vicino ad essere un sistema chiuso. Altre reti - sia ordinate che disordinate - con diversa connettività mostrano lo stesso comportamento generale, e l'andamento della zona centrale è del tipo 1/fa, con 0.5 < a< 1.5.

Misure di precisione

Anche le apparecchiature di misura, sia meccaniche sia elettriche, sono influenzate dal rumore 1/f, e questo ha delle conseguenze particolarmente importanti nel caso delle misure di precisione: qui prendiamo come esempio la misura precisa del tempo.

Se un orologio fosse "perfetto" esso sarebbe in grado di dare degli impulsi ad intervalli fissi, mentre in realtà gli orologi sono disturbati da segnali di rumore, e danno degli impulsi ad intervalli irregolari (si veda la figura 12). La stabilità relativa di un orologio è una misura di quanto varia il numero di impulsi che esso fornisce entro un certo intervallo di tempo fissato. Se il rumore che disturba un orologio è un rumore bianco, allora il numero di impulsi può variare di molto su intervalli brevi, mentre al crescere della lunghezza dell'intervallo di tempo gli errori tendono a compensarsi l'un l'altro e ad annullarsi, e quindi l'orologio è molto più stabile per tempi lunghi che per tempi brevi. In altre parole, estendendo la durata della misura l'errore relativo sul tempo misurato diventa sempre più piccolo. Se però il rumore è del tipo 1/f, allora estendendo la durata della misura si introduce contemporaneamente una quantità sempre maggiore di rumore. I due effetti si compensano ed un'estensione della durata di misura non porta ad alcun miglioramento. Così la stabilità di un orologio di precisione inizialmente aumenta al crescere del tempo su cui si mediano gli errori casuali, perché è il rumore bianco che limita la precisione di misura. Da un certo punto in poi però il rumore 1/f comincia a diventare più importante, e la stabilità relativa resta costante.

Vista l'ubiquità del rumore 1/f e la sua ineliminabilità in sistemi meccanici ed elettronici di misura, è chiaro che considerazioni analoghe si possono estendere ad altri tipi di misure di precisione, e vediamo dunque che il rumore 1/f è molto di più di una semplice curiosità: esso è in grado di esercitare una profonda influenza sulla nostra capacità di conoscere a fondo la natura.

Bibliografia.

GARDNER M. Musica bianca, musica scura, curve fratte e fluttuazioni uno-su-effe in <<Le Scienze>> n. 120, agosto 1978, p. 90

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